Breve riflessione sociologica: il culto del mangiar sano
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Il concetto di “sacro” nella società occidentale
I regimi alimentari odierni sono accomunati dalla necessità di darsi delle regole, di sistematizzare e controllare se stessi e la realtà circostante. Basti pensare a tutti quei comportamenti volti a monitorare continuamente il peso e la forma del corpo e al raggiungimento di un ideale estetico standardizzato che non lascia spazio alla diversità e alla naturalezza dell’essere umani. La preoccupazione per il cibo si trasforma in negazione, rifiuto di esso, diventando un nemico da combattere e da controllare. Molti sono i comportamenti volti ad esorcizzare la paura del cibo: ne sono una prova le tante nuove “comunità alimentari” emergenti, ciascuna con le proprie regole e paradigmi. L’antropologo Niola (2015) ne offre un’interpretazione ridefinendo il concetto di “sacro” nella società occidentale: a differenza di quella orientale dove esso è reso esplicito dalle pratiche e rituali religiosi, in Occidente non svanisce, semplicemente viene trasferito nella dieta, nel fitness e nell’estetica, in un mix di autodisciplina esasperata, contenimento, slanci penitenziali, ideali etico-dietetici, in nome di una religione tutta laica dove nascono guerre tra regimi alimentari.
Diversi regimi alimentari
La sacralità e i rituali occidentalizzati legati al cibo, dove quest’ultimo ne è il capro espiatorio, si esprimono nelle diverse forme di integralismo alimentare (gluten-free, sugar-free, dairy-free, animal-free ecc.) dove l’assenza di una determinata componente dell’alimento si fa garanzia di salvezza dalla contaminazione, dall’impurità. Un esempio è il movimento vegetariano che, riprendendo la mitologia greca e la filosofia induista e buddhista, ritiene che l’uomo in origine, nutrendosi di soli vegetali, sarebbe vissuto in piena armonia e pace con il mondo. Altro esempio è il crudismo, che riprende i suoi fondamenti originari dal “Vangelo della Pace”, che sostiene il consumo dei cibi nella loro forma più pura, quella cruda (Garano C., Dettori M., Barucca M., 2016). Secondo Bratman e Knight (2000) la filosofia crudista riguarderebbe maggiormente la ricerca religiosa e spirituale piuttosto che quella salutistica, in un’ottica di purificazione e ricentramento armonico con la natura, così come accade per il filone della paleodieta (Donini et al. 2004). Il carattere religioso e spirituale assunto dall’alimentazione non è del resto questione nuova. Già a partire dal XIV secolo, nei monasteri, alcune donne scelsero di condurre una vita alimentare di rinuncia, nutrendosi solo per mezzo dell’eucaristia (Lester, 1995). Questo fenomeno venne interpretato dagli studiosi come forma di ribellione nei confronti del ruolo sociale attribuito alla donna, relegata alla vita domestica e devota e obbediente solo al marito e al padre. Attraverso la scelta drastica e innegabile del digiuno, queste donne avrebbero così potuto esprimere la propria affermazione su loro stesse, ricostruendo la propria identità in funzione del cibo e del controllo del proprio corpo.
Ascetismo corporeo
L’ossessione ascetica verso uno stile di vita sano si riscontra, infine, anche nell’esercizio fisico. La modellizzazione del corpo avviene anche oggi in specifici “luoghi di culto”: basti pensare alle palestre o ai centri sportivi. Questo pensiero non è volto a demonizzare l’importanza dell’attività fisica, ma vuole far riflettere su quanto sia labile il confine tra sano e malato, funzionale e disfunzionale. Un esempio concreto è la pratica yoga. Esistono ricerche contrastanti sulla correlazione tra quest’ultima e i disturbi alimentari: da una parte sembrerebbe che lo yoga faciliti l’accettazione del proprio corpo e di se stessi e dunque sia efficace nella prevenzione dei disturbi alimentari (Boudette, 2006; Cook-Cottone et al., 2008; Douglass, 2009); dall’altra, alcuni studi condotti sui praticanti yoga hanno rilevato non solo la presenza elevata di disturbi alimentari come l’ortoressia nervosa (Erkin & Göl, 2019; Valera et al., 2014), ma anche quanto l’eccessiva pratica yoga possa portare all’insorgenza di comportamenti alimentari disfunzionali e disturbati (Domingues & Carmo, 2019). Le evidenze sembrerebbero portare alla conclusione per cui non sia la pratica yoga ad incentivare l’insorgenza dei disturbi, quanto il seguire pedissequamente la sua filosofia, dettata da un’assunzione di uno stile di vita spiritualistico e di rinuncia, del “mangiare pulito” e del preferire una dieta vegana o vegetariana per rispondere al “principio della non-violenza” (Gannon, 2008; Sweeney, 2005).
Il salutismo odierno si riallaccia dunque ad un concetto ascetico e fanatico del corpo, nella convinzione di poterlo trasformare e controllare attraverso ciò che si mangia, traducendosi a volte in una preoccupazione patologica per il puro, ormai ben lontana dal concetto di salute e benessere che la comunità scientifica cerca di trasmettere. Ciò che fa la differenza resta dunque la flessibilità che noi concediamo a noi stessi nell’occuparci di ciò che mangiamo e della nostra salute.
Dott.ssa Giulia Pelini
Psicologa, Psicoterapeuta in formazione, Mindful Eating Trainer
www.giuliapelinipsicologa.it
info@giuliapelinipsicologa.it
Bibliografia
Tratto dalla tesi Sociologia, Psicologia e Cultura dei nuovi disturbi alimentari: un approfondimento sull’ortoressia nervosa di Giulia Pelini. Riferimenti bibliografici presenti nel testo pubblicato.
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